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Attinometro

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L'attinometro è un dispositivo per determinare il flusso[1] di fotoni che attraversano un sistema di geometria specificata. Normalmente gli attinometri si usano per radiazioni elettromagnetiche nel campo del visibile e ultravioletto (UV). Fu John Herschel ad inventare nel 1825 uno strumento per misurare la radiazione solare e a chiamarlo attinometro.[2] Il prefisso attino- deriva dal greco aktis = raggio. Normalmente si fa distinzione fra attinometri assoluti e attinometri chimici.[3] Gli attinometri sono utilizzati in varie discipline tra le quali l'astronomia, la fotografia e la meteorologia.

Attinometri assoluti

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Gli attinometri assoluti sono apparecchiature fisiche come fotomoltiplicatori, bolometri, termopile o fotodiodi, che convertono l'energia trasmessa dai fotoni incidenti in un segnale elettrico misurabile. Queste apparecchiature richiedono una periodica calibrazione e sono di conseguenza utilizzate solo in pochi laboratori ben attrezzati.[4][5]

Attinometri chimici

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Gli attinometri chimici sono sostanze chimiche che reagiscono alla luce con un rendimento quantico (Φ) noto, misurato in precedenza tramite un attinometro assoluto o un altro attinometro chimico ben noto. Misurando la quantità di sostanza reagita si può allora determinare il numero di fotoni assorbiti:

Gli attinometri chimici costituiscono il modo più semplice e accurato per misurare un flusso di fotoni, dato che non richiedono apparecchiature sofisticate.

Non tutte le sostanze chimiche fotosensibili si prestano a essere usate come attinometri. Un buon attinometro dovrebbe idealmente avere le seguenti proprietà:

  1. la sostanza deve essere stabile termicamente, e la sua sintesi e purificazione deve essere semplice;
  2. il rendimento quantico della reazione deve essere ben noto, elevato e indipendente dalla lunghezza d'onda di eccitazione, dalla concentrazione, dalla temperatura, e dalla presenza di ossigeno
  3. la reazione fotochimica deve essere semplice e il metodo analitico per misurare le molecole reagite deve essere comodo e veloce.[5] In pratica non esistono sostanze che soddisfino totalmente questi criteri. Gli attinometri più noti utilizzabili in fase liquida sono i seguenti:

Ferriossalato di potassio

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Il ferriossalato di potassio K3[Fe(C2O4)3]·3H2O è usato comunemente, ed è un attinometro di semplice utilizzo e buona sensibilità per radiazioni UV e visibile nel campo 254–500 nm. Fu proposto per la prima volta da Hatchard e Parker nel 1956.[6] In seguito ad eccitazione il ferriossalato di potassio si decompone con il seguente meccanismo:

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La quantità di cationi Fe2+ formati viene determinata molto semplicemente per via spettrofotometrica in seguito ad aggiunta di 1,10-fenantrolina: si forma un complesso di colore rosso-arancio con un massimo di assorbimento a 510 nm. Il rendimento quantico della reazione di decomposizione non è indipendente dalla lunghezza d'onda, ma i valori sono stati determinati da molti ricercatori e sono ben noti.[3]

Reineckato di potassio

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Il reineckato di potassio, K[Cr(NH3)2(NCS)4] può essere usato con facilità nel campo 316–600 nm, e con qualche difficoltà fino a 735 nm. L'uso come attinometro fu proposto da Wegner e Adamson nel 1966.[7] In seguito a irradiazione del complesso si ha una reazione di aquazione, dove una molecola di acqua sostituisce un legante SCN:

Gli anioni tiocianato rilasciati sono determinati spettrofotometricamente per aggiunta di nitrato di ferro(III): si forma la specie Fe(SCN)2+ di colore rosso sangue con un massimo di assorbimento a 450 nm. Lo svantaggio principale di questo attinometro è la sua instabilità in soluzione. Infatti la stessa reazione di aquazione avviene anche termicamente, e quindi bisogna confrontare la quantità di SCN rilasciato nella reazione fotochimica con quella prodotta in una soluzione campione tenuta al buio.

La molecola dell'azobenzene dà luogo ad una caratteristica fotoisomerizzazione cis-trans. Gauglitz fu il primo a proporlo come attinometro nel 1976.[8]

L'isomerizzazione transcis può essere utilizzata per misure attinometriche nel campo 275–340 nm. L'isomerizzazione opposta cistrans si può utilizzare negli intervalli 245–265 nm e 350–440 nm. I vantaggi principali di questo attinometro sono che la stessa soluzione può essere utilizzata più volte, e per le misure è sufficiente uno spettrofotometro. Gli svantaggi sono che il sistema è complicato dalla isomerizzazione termica cistrans, e inoltre entrambi gli isomeri assorbono la radiazione incidente. È quindi necessaria una elaborazione più complessa dei dati.[5]

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Collegamenti esterni

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