Feudalesimo

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Goffredo II di Cerdanya riceve l'homagium di Isern e Dalmau, signori di Castellfollit (Liber feudorum Ceritaniae, XII secolo)

Il feudalesimo è un sistema socio-economico tipico del Medioevo europeo. Tale denominazione riflette soprattutto il tentativo, fatto in epoche successive, di designare in termini unitari e coerenti il contesto economico e sociopolitico dell'Europa sorta dal crollo dell'Impero romano e dall'avvento delle popolazioni barbariche (i Germani). In tal senso, il feudalesimo è più un costrutto storiografico che un sistema intrinsecamente unitario.[1][2]

La stessa parola feudalesimo (derivata dal latino feudum, 'feudo', come anche feodalitas, 'complesso delle incombenze legate al feudo') fu inventata nel Seicento, quindi molto tempo dopo rispetto all'epoca che intende riassumere, così come il suo sinonimo, sistema feudale. Questa terminologia riflette una compattezza semantica in gran parte estranea alla realtà storica e sarebbe risultata incomprensibile agli stessi uomini del Medioevo.[2][3]

Secondo l'interpretazione tradizionale, il feudalesimo fu il sistema giuridico-politico dominante tra i secoli X e XII. In seguito, la rinascita delle città e dell'economia monetaria ridimensionò molto questa istituzione, che comunque non scomparve. Tra XIV e XVI secolo, in Europa si registrò anzi un diffuso processo di "rifeudalizzazione". Con l'avvento degli Stati moderni il feudalesimo perse le caratteristiche giurisdizionali, ma mantenne quelle sociali e politiche fino a quasi tutto il XVIII secolo. In Francia venne abolito solo con la Rivoluzione francese del 1789, mentre altrove rimase vivo, almeno sul piano teorico, anche più a lungo, dopo la Restaurazione.

In senso stretto, la feudalità fu un fenomeno giuridico, consistente nei diversi istituti alla base dei rapporti tra due individui liberi, il signore e il suo vassallo, tra i quali vigevano reciprocamente doveri e prestazioni. Tali rapporti erano suggellati da riti pubblici, come l'omaggio, il giuramento, l'investitura.[4] La cultura moderna ha però espanso a dismisura il campo di applicazione dei termini feudalità e feudalesimo, riferendoli a rapporti di varia natura (giuridici, sociali, politico-istituzionali, economici ecc.). Le indagini storiografiche sul feudalesimo hanno finito per analizzare oggetti assai diversi tra loro, legando fenomeni sì interrelati, ma in modo disorganico, con l'obbiettivo di stringerli in una sistemazione concettuale troppo compatta e ciò tanto più nella divulgazione dei pubblicisti.[5] Per questa ragione, la storiografia oggi tende a ridefinire il concetto, cercando di circoscriverlo in modo più esatto nello spazio e nel tempo, contrastando l'idea che esso possa essere utilizzato come caratteristica di fondo dell'Alto Medioevo, dell'età carolingia e del Medioevo centrale, tanto meno in termini economici, con la curtis intimamente connessa all'istituto del feudo.[6]

L'ipotesi di un sistema feudale come caratteristica centrale del Medioevo europeo è stata estesa anche a contesti extra-europei, tanto che si parla di feudalesimo e di Medioevo anche a proposito di Cina e Giappone (vedi Medioevo cinese e Medioevo giapponese).[7]

Inquadramento storico

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Un funzionario e dei servi intenti a falciare il grano, ritratti nel Salterio della regina Maria (1310-1320 ca., British Museum)

Già nella Roma repubblicana e imperiale esisteva la pratica della commendatio, che consisteva nel diritto di proporre candidati alle magistrature o ad alcune cariche religiose. La Lex de imperio Vespasiani del 69 d.C. indicava tra i poteri degli imperatori la commendatio di candidati alle magistrature, con effetto vincolante.[8] Con lo stesso nome di commendatio, a partire dal Basso Impero, si indicava la pratica per cui contadini liberi si raccomandavano ai signori perché li proteggessero: i signori poterono in tal modo formarsi delle vaste clientele.[4]

La "privatizzazione" dei rapporti di potere aveva avuto un ruolo significativo anche nell'instaurarsi dei regni barbarici, in cui la nuova forma romano-barbarica di monarchia mescolava l'usanza germanica del giuramento di fedeltà personale dei guerrieri al re con la preoccupazione (tradizionalmente romana) di garantire, per mezzo di funzionari, un potere pubblico omogeneo.[4]

Altro elemento retrospettivamente interpretato come "prefeudale" è il costituirsi, nel Basso Impero, di patronati nel latifondo, spesso difeso da milizie private.[6] A sua volta, il latifondo era forma tipica dell'organizzazione socioeconomica delle campagne del Basso Impero, tra III e V secolo, quando, di fronte alla crisi i senatori tendevano ad abbandonare le città e a ritirarsi nelle campagne, fonte sicura di sussistenza. Tali aree erano però sempre più infestate dal banditismo, dalle scorrerie dei barbari, ma anche dagli abusi delle milizie imperiali. Di qui la trasformazione di un gran numero di ville rustiche, che venivano fortificate per la difesa del padrone e dei coloni.[9] Lo stesso uso di milizie private era un segno di appropriazione di prerogative pubbliche. Per accedere a queste misure di protezione offerte dai latifondisti, i piccoli proprietari degli allodi (le terre possedute in piena proprietà), tendevano a rinunciare alla piena disponibilità dei propri beni. Con ciò, i latifondisti davano corpo ad un'ulteriore forma di appropriazione di prerogative pubbliche, in quanto proteggevano i piccoli proprietari dagli abusi del fisco imperiale, e ottenevano da imperatori deboli una serie di immunità.[9]

Conti e vescovi, provenienti dalle aristocrazie gallo-romane e franche, avevano tra i Franchi (segnatamente tra i Merovingi, la prima dinastia franca) funzioni simili a quelle degli antichi funzionari romani, con l'importante differenza che il compenso per questo genere di servigi, in un'epoca di scarsa circolazione monetaria, la cui economia era fondata sui beni immobili, non poteva che essere di natura fondiaria.[4] Spesso, poi, i re dovevano attribuire ai signori, sotto forma di beneficium, le rendite offerte dalle "terre fiscali", cioè gli ex domini dell'Impero romano, per ottenere in cambio il loro consenso. Tanto i re quanto i signori, dunque, costituivano le proprie reti clientelari attraverso la distribuzione di terre ai loro fedeli (i vassalli).[4]

Le clientele armate assunsero ancora più rilevanza nella Gallia merovingia del VII secolo, quando i nobili assunsero sempre maggiore peso nelle lotte per la successione al trono. Fu già in questo periodo che la fedeltà militare dei cavalieri venne sempre più compensata con donazioni di terre o con beneficia, ossia la concessione di terre senza contropartita.[6] La Gallia merovingia fu la terra in cui prima che altrove sorsero le condizioni per l'affermarsi di quelle caratteristiche che gli storici etichettano come tipicamente feudali. I re merovingi o, meglio, i loro maestri di palazzo, per meglio resistere all'avanzata degli Omayyadi di Spagna, cercarono di organizzare una forte cavalleria che sostituisse i male organizzati eserciti barbarici. Fu così che intere province furono concesse ai membri della trustis regia.[10] Alla concessione del beneficio corrispondeva il vassallaggio, cioè l'atto con cui il beneficiario si dichiarava homo o vassus del signore, impegnandosi a prestargli auxilium et consilium, cioè aiuto militare e partecipazione alla sua corte.[11][10] Ai tempi del maestro di palazzo Carlo Martello, dunque alla fine dell'età merovingia (metà dell'VIII secolo), il fenomeno della concessione di benefici ai vassalli in cambio del servizio militare a cavallo si accentuò, in particolare attraverso la requisizione di terre ecclesiastiche. Per evitare di danneggiare eccessivamente la Chiesa, ai vassalli il re concedeva in beneficio il mero usufrutto, la nuda proprietà. L'istituto militare del vassallaggio e quello economico e giuridico del beneficio risultarono via via sempre più legati l'uno all'altro.[4]

Alla fine dell'VIII secolo, l'economia dell'Europa occidentale aveva carattere ormai essenzialmente agricolo. «La terra – ha scritto Henri Pirenne – divenne l'unica fonte di sostentamento, la sola condizione della ricchezza. [...] La ricchezza mobile non aveva più nessun impiego economico.»[12] Per fare la guerra o amministrare, i poteri centrali erano costretti a ricorrere ai grandi proprietari terrieri e le rendite dello stesso imperatore non dipendevano che dalle sue proprietà fondiarie.[12]

In questo contesto nacquero nuove strutture di potere decise a colmare spontaneamente quei vuoti lasciati dalla monarchia imperiale, distante e inefficiente. Nacque così il fenomeno dell'incastellamento, con la costruzione di insediamenti fortificati da cinte murarie, dove era presente la dimora del signore locale (mastio, cassero o torre), i magazzini delle derrate alimentari, degli strumenti di lavoro e delle armi, le abitazioni del personale e, attorno ad esso, le varie unità insediative e produttive. Le persone che gravitavano attorno al castello erano tutte legate da precisi rapporti di dipendenza al signore. La castellania era la circoscrizione attorno al castello, che si inquadrava a sua volta in unità giuridiche più vaste. Almeno in via teorica esisteva un sistema gerarchico piramidale che si ricollegava ai pubblici ufficiali che possedevano una signoria (duchi, marchesi e conti), che a loro volta dipendevano dal sovrano. Nella pratica sopravviveva anche la libertà personale e la proprietà privata diretta (l'allodio), anche se i liberi proprietari erano spesso portati a rinunciare al loro stato di rischiosa libertà in cambio di protezione.

Scrive Pirenne:

«Il sistema feudale in fondo non è altro che il trasferimento dei poteri pubblici nelle mani degli agenti di tali poteri, i quali, per il fatto stesso di detenere ciascuno una parte del territorio, diventano indipendenti e considerano le proprie attribuzioni come parte del proprio patrimonio. In definitiva la comparsa del feudalesimo nell'Europa occidentale durante il secolo IX non è altro che la ripercussione politica del ritorno della società ad una forma di civiltà puramente rurale.[13]»

I regni barbarici sorti nel V secolo avevano mantenuto una caratteristica centrale del potere romano, cioè l'avere il proprio baricentro nel bacino del Mediterraneo, via di comunicazione essenziale per i contatti con l'Impero romano d'Oriente.[14] Con l'avvento dell'Islam, nel VII secolo, il mar Mediterraneo, come scrive Pirenne, «si trasformò in una barriera»[15]. I Carolingi riuscirono a contenere gli Omayyadi di al-Andalus al di là dei Pirenei, ma non poterono né vollero competere con i musulmani sul Mediterraneo: a differenza della Gallia romana e poi merovingia, l'Impero carolingio ebbe infatti carattere fondamentalmente continentale.[16]

Il blocco del Mediterraneo determinò la progressiva scomparsa dei traffici e con essi del ceto mercantile. Le stesse antiche città romane per questa ragione decaddero, sopravvivendo solo in quanto sedi episcopali: i vescovi si sostituirono all'amministrazione municipale e le città persero ogni rilevanza economica. Con il complessivo impoverimento, scomparve anche il solido aureo romano (ancora usato dai re germanici), sostituito dal denaro argenteo.[17]

I porti di Quentovic e Dorestad sul Mare del Nord. Questi centri di commercio, che rappresentavano una sopravvivenza delle antiche reti commerciali romane e poi merovingie, furono spazzati via dai Normanni.

L'epoca di Carlo Magno è stata spesso considerata come una fase di prosperità economica, ma, avverte Pirenne, esso fu al contrario un periodo di decadenza.[18][19] Sopravvissero i traffici nel Mare del Nord, ma più come fenomeno di persistenza di attività esistenti già con l'Impero romano e i Merovingi che come fenomeno di ripresa.[20] Con la nascita dell'Impero carolingio, tra IX e X secolo, l'Europa, pure, conobbe un momento di parziale affermazione dell'autorità centrale. In particolare, l'Impero disponeva di corti distrettuali a cui ci si poteva appellare e che, in linea teorica, potevano deliberare contro i signori.[3] Gli appelli dei contadini a queste corti rimanevano per lo più ignorati: esse tendevano a rapportarsi (in armonia o in contrasto) con le giurisdizioni signorili, e i signori avevano spesso ruoli apicali nel regime carolingio, potendo spesso influenzare le loro decisioni. Pure, il sistema generale comprendeva norme comuni la cui legittimità non era messa in discussione.[3] Carlo, peraltro, aveva istituito la magistratura dei missi dominici ('inviati del signore'), di norma un laico e un ecclesiastico, funzionari itineranti che registravano gli appelli dei sudditi contro eventuali abusi di conti, marchesi e vescovi (le figure cui Carlo aveva assegnato le circoscrizioni in cui era diviso l'Impero).[21]

Roberto Sabatino Lopez sottolinea come la scarsa circolazione di denaro già ai tempi di Carlo conducesse fatalmente all'istituto del beneficio.

«Per governare con un minimo di efficienza, sarebbe stato necessario moltiplicare gli impiegati e assicurarsi la loro obbedienza pagandoli non in terre ma in denaro; per pagarli in denaro, sarebbe occorso ristabilire le imposte dirette; per riscuotere le imposte, moltiplicare gli impiegati. Così si faceva a Bisanzio [...].[22]»

L'Imperatore si sforzò di accentuare il carattere religioso del giuramento di fedeltà dei compagni d'arme, con una "messa in scena solenne, che", scrive ancora Lopez, "si imprimeva nell'immaginazione e nelle emozioni dei presenti, e culminava col giuramento prestato sulle reliquie"[23]. Ancora secondo Lopez, concedere le terre in possesso ma non in piena proprietà, incoraggiare nei propri vassalli la richiesta di giuramenti ai rispettivi vassalli, concedere benefici agli ecclesiastici, opporre vassallo a vassallo e inviare i missi dominici erano tutti tentativi di forzare la fedeltà dei dipendenti dell'Imperatore, in forme che però in passato avevano portato alla rovina della casa merovingia e che Lopez giudica di "feudalesimo incipiente".[24]

Da un punto di vista economico, le scarse unità produttive fondamentali erano ospitate in agglomerati rurali (le corti).[3] Già intorno all'anno 1000, i signori avevano iniziato a sviluppare un'autorità informale sui villaggi; circa un secolo dopo, queste signorie, che incombevano su tre o quattro villaggi, avevano fondato sul castello la propria autonomia rispetto a qualsiasi potere centrale.[3] L'Europa presto ripiombò nell'insicurezza e nella difficoltà indotta dalla debolezza dei poteri centrali, causata dalla destrutturazione dell'organizzazione regia carolingia, senza garanzia della salvaguardia dei cittadini, il tutto aggravato dalle incursioni dei Normanni (che annientarono i centri di Quentovic e Dorestad), dei Saraceni (che controllavano il Mediterraneo) e di Avari e Ungari (che bloccarono la Valle del Danubio, una possibile alternativa al Mediterraneo come via di comunicazione tra Occidente e Oriente).[25]

È in età carolingia che tende a fissarsi l'associazione tra rapporto vassallatico e concessione vitalizia del feudo. Tale concessione in origine non comprendeva però il diritto di amministrare localmente la giustizia: in tal senso, il rapporto vassallatico-beneficiario non può essere interpretato come l'unità minima di un sistema politico organicamente centrato su queste due usanze. La tradizionale raffigurazione del sistema feudale come "piramide feudale" è quindi ascrivibile, e spesso solo parzialmente, a situazioni successive (ad esempio, l'Inghilterra normanna).[6]

Elementi fondamentali del rapporto vassallatico-beneficiario

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Al livello teorico erano tre gli elementi fondamentali e caratterizzanti del sistema vassallatico-beneficiario:

  1. l'elemento reale era rappresentato dal feudo (l'honor o il beneficium), dato in concessione dal dominus o senior al vassus (parola di origine celtica che significava "giovane"); si trattava di un bene materiale (terre o beni mobili o uffici remunerati a vario titolo);
  2. l'elemento personale consisteva nella fedeltà personale del vassus ed era garantita da un rito, l'homagium ("omaggio"); l'etimologia ne testimonia la natura: la parola deriva infatti da homo ed era una sorta di cerimonia durante la quale il vassus ("giovane") si dichiarava homo, quindi adulto, e fedele del suo signore;
  3. l'elemento giuridico consisteva nel fatto che il vasso acquistava immunità giudiziaria, cioè la giurisdizione (intesa come concessione di esercitare il potere giudiziario) nella zona interessata, con i conseguenti proventi.
Lo stesso argomento in dettaglio: Feudo.

Il termine feudo deriva dal latino feudum, ricalcato sul proto-germanico fehu, che riprendeva la radice feh ('bestiame'), essendo infatti presso le popolazioni nomadi proprio il bestiame la maggior forma di ricchezza, con la quale si remuneravano i servigi. Gli storici sono infatti sostanzialmente concordi nell'indicare l'origine del feudo in quei beni materiali (bestiame, armi e oggetti preziosi) che i principi barbarici offrivano al proprio seguito, il comitatus. Quando i Germani divennero sedentari il termine iniziò a significare un "bene" generico, ovvero il suo "possesso" e, più in generale, la "ricchezza".

È importante sottolineare come all'inizio il terreno delle cui rendite beneficiavano i sottoposti fosse concesso solo a titolo di comodato: essi ne erano possessori, ma non godevano della piena proprietà. Per questo alla loro morte il possesso ritornava al signore e non si tramandava agli eredi. Analogamente non poteva essere fatto oggetto di transazione, né venduto né alienato in alcun modo. Ciò lo rendeva precario e presto il ceto feudale, già dalla seconda metà del IX secolo, si mosse per appropriarsi dei feudi in maniera completa e definitiva. Carlo il Calvo concedette nell'877 con il capitolare di Quierzy la possibilità di trasmettere i feudi maggiori in eredità, seppur provvisoriamente e in casi eccezionali, come la partenza del re per una spedizione militare.[26] Soltanto dal 1037 ci fu la vera e propria ereditarietà, quando i feudatari ottennero l'irrevocabilità e trasmissibilità ereditaria dei beneficia, con la Constitutio de feudis dell'imperatore Corrado II il Salico.[27] Nacque così la signoria feudale, che in seguito si sarebbe trasformata ulteriormente.

Bisogna anche sottolineare che il feudo, inteso come oggetto del beneficio, era dato da un terreno solo nell'impostazione più tipica del sistema: a volte poteva anche trattarsi di beni mobili, o di somme di denaro corrisposte come salario. Ma l'organizzazione "classica" del feudalesimo prevedeva la suddivisione in territori che andavano a formare le grandi o piccole signorie feudali locali, che almeno all'origine dovevano coincidere con marche e contee dell'Impero carolingio.

L'omaggio e l'investitura

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Lo stesso argomento in dettaglio: Omaggio feudale.
Carlo Magno investe Rolando e gli consegna Durlindana

Il vassallaggio è un rapporto di tipo personale che si instaurava nel sistema vassallatico-beneficiario. Si trattava di una sorta di "contratto" privato tra due persone, il vassallo e il signore: il primo si dichiarava homo dell'altro, durante la cerimonia dell'"omaggio", ricevendo, in cambio della propria fedeltà e del servizio, protezione dal signore.

La cerimonia di omaggio formalizzava questo rapporto: il vassus si rimetteva nelle mani del senior ponendo le sue mani giunte in quelle del suo superiore (da qui il gesto di preghiera a mani giunte) e gli giurava fedeltà. La cerimonia di investitura era un caso particolare dell'omaggio, durante la quale veniva concesso un terreno (un feudo) simboleggiato dalla consegna di un oggetto come una zolla di terra o una manciata di paglia o anche una bandiera (quest'ultima sottintendeva la cessione anche di un diritto giurisdizionale).

Immunità e diritto di giurisdizione

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L'elemento giuridico del sistema feudale consisteva innanzitutto nell'immunità, accompagnata, nel caso di feudi più grandi, dalla concessione del diritto di giurisdizione. L'immunità era il privilegio di non subire, entro i confini della signoria feudale, alcun controllo da parte dell'autorità pubblica. Il diritto di giurisdizione era invece la delega ad amministrare la giustizia pubblica ed a goderne i proventi nel caso di pene pecuniarie.[28]

Struttura gerarchica

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Molto spesso la storiografia tradizionale ha tramandato il mondo feudale come gerarchico, dominato da una rigida piramide sociale in cui i vertici godono della sudditanza assoluta dei sottoposti. Questa rigida separazione in gradini sociali sarebbe stata indicata dai giuramenti vassallatici che ogni vassallo doveva prestare al proprio signore e, di conseguenza, avrebbe comportato che sulla vetta ci fosse un concessore di benefici e che a lui facessero capo tutte le altre figure. La tradizionale piramide modello del sistema è la seguente:

  1. il sovrano, quasi sempre un re o un nobile di alto rango, ma anche un'alta carica religiosa;
  2. i vassalli, grandi feudatari nobili di alto rango;
  3. i valvassori, vassalli dei vassalli, feudatari nobili di medio rango;
  4. i valvassini, vassalli dei valvassori, feudatari di basso rango;
  5. i contadini liberi (artigiani, basso clero ecc.);
  6. i contadini, servi della gleba.

Alla base della gerarchia feudale, al di sopra dei contadini liberi e di quei servi, c'erano i milites e i caballari dotati di scarse risorse ma aventi il diritto e le capacità economiche di possedere un cavallo e un'armatura e di partecipare alla vita delle corti.[29]

Nei fatti, il sistema era più elastico e ogni livello era regolato dal medesimo rapporto di vassallaggio: poteva teoricamente avere un vassallo chiunque potesse permetterselo, dai sovrani, ai grandi signori, ai membri della piccola nobiltà fino anche ai modesti proprietari terrieri. Si poteva inoltre essere alternativamente dominus o vassus per benefici diversi.

Una piramide vera e propria si ebbe formalizzata solo dopo il XIII secolo, come si legge nei Libri feudorum, redatti per regolare l'assetto giuridico del Regno di Gerusalemme, conquistato dopo la Prima crociata.

Il dibattito storiografico

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Il governo feudale acquisì le caratteristiche difettive con cui si è abituati a fare ad esso riferimento a partire dalla metà del XVIII secolo, cioè in piena età illuministica. Alfonso Longo, ad esempio, che nel 1773 succedette a Cesare Beccaria nella cattedra di Istituzioni civili ed economiche a Milano (il cui corso, mai pubblicato, fu poi recuperato in volume),[30] lo definisce una forma di governo "tutta imperfetta nelle sue parti, erronea nei principii e disordinata nei mezzi". Ed, in effetti, fu sempre considerata cardinale dagli Illuministi l'interezza della sovranità, mentre, soprattutto a partire dal Capitolare di Quierzy (877), la sicurezza del possesso del feudo rese più lassi i vassalli e più disposti a seguire il proprio arbitrio, assecondando l'inosservanza delle leggi in favore della forza, svuotando di potere i tribunali, opprimendo il popolo.

Istituzioni economiche e sociali come il pascolo comune o le corporazioni contraddicevano in modo troppo forte lo spirito borghese che largamente informava lo spirito illuminista. Questa sorta di avversione prese corpo nella riforma, avviata da Giuseppe Bonaparte e proseguita da Gioacchino Murat, tramite una serie di leggi eversive della feudalità, emanate tra il 1806 e il 1808, della soppressione della feudalità nel Regno di Napoli, lo stato italiano in cui più radicata era la forma feudale di governo, istituendo anche una Commissione feudale incaricata di risolvere le liti.[31]

Il XIX secolo sembrò cercare un punto di vista più neutro nei confronti del feudalesimo: a quei tempi, avversario della borghesia non è più l'ordinamento feudale ma il sovrano assoluto. François Guizot distingueva tra un influsso "sullo sviluppo interiore dell'individuo" e quello sulla società, ravvisando nel primo il motore di "sentimenti energici" e "bisogni morali". Il XX secolo, soprattutto con Les Annales, approfondì lo studio della produzione dei beni, dei rapporti di proprietà e delle condizioni di lavoro più di quanto non fosse stato fatto fino ad allora. In ogni caso, almeno nella percezione comune, neppure questi studi fecero uscire il feudalesimo da una considerazione generale fortemente polemica.

Fu Alfons Dopsch il primo a tentare di scardinare lo schema tradizionale, basato sul principio per cui il feudalesimo fosse sempre strettamente legato alla pratica dell'economia naturale. Dopsch fa invece notare che il feudalesimo è sopravvissuto in certi stati anche fino al XVII secolo, mentre in essi lo scambio monetario era ormai del tutto "moderno". Lo studioso, insomma, propone cause politiche e costituzionali per la definizione di questo ordinamento. Va però considerato il fatto che il feudalesimo menzionato da Dopsch (quello dell'Austria e del Meclemburgo) non era ormai più il feudalesimo dei baroni riottosi. Bloch finisce per rinunciare al riferimento all'economia naturale, preferendo parlare di una "carestia monetaria". Henri Pirenne trovò nella disgregazione dello Stato la cifra del feudalesimo, sottolineando come fu impossibile ai conquistatori germanici di continuare la solidità statale che fu dell'Impero romano. Pur riconoscendo la necessità dei principi di delegare la difesa del territorio ai vassalli, resta, secondo Pirenne, che il giuramento feudale riconosce comunque il re come detentore del potere, tanto che furono paesi altamente feudalizzati come l'Inghilterra e la Francia - come nota Lopez - a dare all'Europa i primi Stati unitari. Sempre il Lopez nota come il principio di feudalità rimarcava l'elemento di reciprocità giuridica dell'obbligazione, per quanto questo genere di transazioni di diritti non fosse certo disponibile per l'universalità delle genti ma solo dei potenti.

Maurice Dobb fa corrispondere il feudalesimo all'istituto del servaggio, cioè l'obbligo imposto al produttore di adempiere alle pretese economiche del dominus (spesso genericamente intese come "doni alla dispensa del signore"). Dobb torna quindi, in qualche modo, al giudizio settecentesco, accentuando, però, una nota classista che prima non aveva questo rilievo.

  1. ^ Feudalesimo, in Treccani.it – Enciclopedie on line, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
  2. ^ a b (EN) Feudalism, in Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc.
  3. ^ a b c d e Miller, p. 1.
  4. ^ a b c d e f Dictionnaire de l'Histoire de France Larousse, p. 448.
  5. ^ Giovanni Tabacco, Feudalesimo, in Enciclopedia delle scienze sociali, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1994.
  6. ^ a b c d feudalesimo, in Dizionario di storia, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2010.
  7. ^ Desideri, p. 195.
  8. ^ commendatio, in Sapere.it, De Agostini.
  9. ^ a b Desideri, p. 196.
  10. ^ a b Desideri, p. 197.
  11. ^ Consilium, in Treccani.it – Enciclopedie on line, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
  12. ^ a b Pirenne (1963), p. 19.
  13. ^ Pirenne (1963), p. 20.
  14. ^ Pirenne (1963), p. 13.
  15. ^ Pirenne (1963), p. 14.
  16. ^ Pirenne (1963), p. 15.
  17. ^ Pirenne (1963), pp. 14 e 17.
  18. ^ Pirenne (1963), p. 17.
  19. ^ La tesi di Pirenne è avversata da Alfons Dopsch, che rimarca il ruolo delle civitates commerciali nel periodo carolingio (cfr. Desideri, p. 182).
  20. ^ Pirenne (1963), p. 18.
  21. ^ Desideri, p. 159.
  22. ^ Roberto Sabatino Lopez, La nascita dell'Europa, Einaudi, Torino, 1966, citato in Desideri, p. 180.
  23. ^ Citato in Desideri, p. 181.
  24. ^ Cfr. Desideri, p. 181.
  25. ^ Pirenne (1963), pp. 18-19.
  26. ^ Bordone e Sergi, pp. 107-108.
  27. ^ Bordone e Sergi, pp. 108-109.
  28. ^ Scrivono Cardini e Montesano (p. 167): "L'immunità consisteva nel diritto dei detentori di signoria feudale di andare esenti, all'interno dei confini di essa, dai controlli di qualunque autorità pubblica. Oltre a ciò, i feudatari maggiori ricevevano in delega anche la giurisdizione, cioè il diritto di amministrare la giustizia pubblica e di goderne parte dei proventi economici (poiché le pene del tempo erano o fisiche o pecuniarie)".
  29. ^ Camera e Fabietti, p. 101.
  30. ^ Carlo Antonio Vianello, Istituzioni economico-politiche, in Economisti minori del settecento lombardo, Milano, A. Giuffrè, 1942.
  31. ^ Oltre ai classici contributi di Pasquale Villani, Mezzogiorno tra riforme e rivoluzione, Laterza, Bari 1962 e La feudalità dalla riforme all'eversione, in «Clio», 1965, pp. 600-622, cfr. A. M. Rao, Mezzogiorno e rivoluzione: trent'anni di storiografia, in «Studi storici», 1996, nº 37, pp. 981-1041; A. Mele, La legge sulla feudalità del 1806 nelle carte Marulli, in S. Russo (a cura di), All'ombra di Murat. Studi e ricerche sul Decennio francese, Edipuglia, Bari 2007, pp. 87-109.

Voci correlate

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