Lingua sapienziale
La lingua sapienziale sarebbe un'antichissima lingua capace di esprimere simbolicamente un profondo sapere, risalente ad epoche primordiali.
Si era pensato anticamente che dopo la distruzione della torre di Babele operata da Dio fosse possibile recuperare il primo linguaggio parlato da tutta l'umanità; la lingua di Adamo, perfetta nella sua capacità di esprimere l'essenza della realtà. Si riteneva che questa lingua fosse un antichissimo ebraico che col tempo aveva perso la sua originaria purezza.[1] Nell'Umanesimo questa lingua viene identificata con quella egizia scritta in geroglifici.
Storia
[modifica | modifica wikitesto]Questa lingua universale sarebbe stata capace di trasmettere i concetti tramite un'apprensione immediata di natura intuitiva anziché discorsiva: già in età ellenistica gli ermetisti ritenevano che non solo i saggi d'Egitto, ma anche i gimnosofisti indiani e i magi persiani fossero una delle principali fonti della conoscenza sapienziale.[2]
«Il prestigio della sapienza esotica, che si sperava di trovare presso gli Egizi, i Babilonesi, e i Persiani, era andato crescendo senza sosta in età imperiale. [...] Gli scritti ermetici, il cui contenuto è pure composto da vari testi filosofici, si presentano come un prodotto egiziano.»
Anche il filosofo Plotino riferiva della sapienza raggiunta dai saggi d'Egitto, i quali «non si servivano dei segni delle lettere», «ma disegnavano figure», «e ne decoravano i templi per mostrare che il procedimento discorsivo non appartiene al mondo di lassù».[3]
Tra gli altri filosofi neoplatonici, Proclo, nel suo commento al Timeo platonico,[4] riporta la testimonianza di Crantore da Soli secondo cui Platone avrebbe appreso dell'esistenza di Atlantide grazie ai simboli sapienziali scritti sulle stele dell'antico tempio di Sais in Egitto.[5]
La lingua sapienziale divenne poi un requisito degli alchimisti, dai quali fu assimiliata alla lingua degli uccelli, ossia un idioma criptico basato sull'assonanza dei termini che bene si prestava a camuffare i concetti più elevati riservati agli iniziati.[6]
La scoperta di Cristoforo Buondelmonti
[modifica | modifica wikitesto]Nel 1419 il monaco Cristoforo Buondelmonti, studioso delle antiche civiltà e geografo, acquistò per conto di Cosimo de' Medici nell'isola di Andros un manoscritto, tradotto in greco da uno sconosciuto Filippo, intitolato Hieroglyphica, opera di un autore ignoto chiamato Horus-Apollo o Horapollus che affermava di essere egiziano. Nel 1422 il testo arrivò a Firenze e tradotto dal greco destò molto interesse tra i dotti umanisti poiché era l'unico antico trattato riguardante l'interpretazione dei geroglifici egiziani. L'opera, pur trattando dei geroglifici, si presentava senza illustrazioni.[7]
In questo manoscritto l'autore sosteneva che Ermete Trismegisto non era, come si era creduto sino ad allora, l'inventore dell'alfabeto ma di una lingua più elaborata composta da geroglifici rappresentanti tramite disegni concetti complessi: una lingua filosofica sapienziale in grado di esprimere l'essenza delle cose. Mentre nei linguaggi comuni i nomi non rappresentano altro che un suono senza nessun significato di per sé, convenzionalmente stabilito presso i diversi parlanti, i geroglifici esprimevano un sapere elaborato.
I geroglifici sorgente di perenne sapienza
[modifica | modifica wikitesto]I filosofi umanisti accolsero immediatamente questa interpretazione e i geroglifici furono considerati come sorgente perenne di sapienza.
Gli Hieroglyphica di Orapollo esercitarono dunque una notevole influenza sul simbolismo del Rinascimento, ed in modo particolare sul libro degli emblemi di Andrea Alciato (1492–1550) ed anche sulla Hypnerotomachia Poliphili, probabilmente di Francesco Colonna, e furono inoltre fonte di ispirazione per famosi pittori, tra i quali Bellini, Giorgione, Tiziano e Bosch.[8]
Convinto della simbologia dei geroglifici, Marsilio Ficino (1433–1499) riteneva che gli antichi egizi per esprimere il tempo lo disegnassero come un serpente che si morde la coda: l'Uroboro, e che il geroglifico dell'occhio di Horus rappresentasse Dio.[9]
La stessa convinzione che la scrittura egizia nascondesse una lingua sapienziale era nell'opera Hieroglyphica, sive de sacris Aegyptiorum aliarumque gentium literis commentarii di Pierius Valerianus, il nome umanistico del letterato italiano Giovanni Pierio Valeriano Bolzanio (1477-1560) che aveva ricostruito, senza averne mai visto uno, un immaginario obelisco egizio con simboli che avrebbero dovuto rappresentare iscrizioni geroglifiche.
Obelischi reali erano invece quelli innalzati tra il 1585 e il 1590 da papa Sisto V che conosceva il valore simbolico di questi monumenti e che voleva servirsi anche della spiritualità pagana, rappresentata simbolicamente da quei quattro obelischi in origine eretti in onore del dio Sole ad Eliopoli e a Karnak, per riaffermare la potenza della Chiesa cattolica temporale così com'era stata configurata dal Concilio di Trento.[10][11]
Anche Giordano Bruno (1548–1600) era convinto che quell'antichissima scrittura fosse propria degli dei:
«Le lettere sacre degli egizi erano immagini tratte dalle cose della natura, o da parti di esse. Servendosi di tali scritture, essi erano soliti impadronirsi, con meravigliosa abilità, della lingua degli dei. In seguito all'invenzione dell'alfabeto si determinò una grave frattura sia nella memoria, sia nelle scienze divine e magiche.»
Bisognava allora «trovare immagini, segni, voci , sigilli viventi che potessero risanare la frattura, prodotta dai pedanti, nei mezzi di comunicazione con la natura divina e una volta trovati questi mezzi di comunicazione viventi(dopo averli impressi nella coscienza durante esperienze estatiche) unificare tramite essi l'universo, quale si riflette nella psiche; acquisire conseguentemente un potere magico e vivere la vita di un sacerdote egiziano in comunione magica con la natura».[12]
Spinto alla ricerca dei significati occulti dei geroglifici fu poi nel Seicento il gesuita tedesco Athanasius Kircher, che ne diede un'interpretazione simbolica anziché semantica:[13] egli pensava che ogni segno rinviasse ad una molteplicità di contenuti sacri, rivelati dalla divinità direttamente a chi li aveva scritti. Egli così riscontrò persino una coincidenza dei significati religiosi della sapienza egizia con quelli della rivelazione cristiana, che lui attribuiva a una comune origine divina.[14]
Ancora alle soglie del '700 Leibniz vedeva nella lingua cinese una lingua sapienziale capace, come i geroglifici egiziani, di esprimere profonde verità nascoste.[15]
Tutte queste speculazioni sul testo di Orapollo elaborate dagli umanisti italiani si basavano sulla convinzione che si trattasse di un'opera antichissima mentre oggi si è scoperto che questa risaliva all'età ellenistica o probabilmente al V secolo quando la capacità di capire i geroglifici era ormai del tutto trascorsa.[16]
L'idea che la scrittura egizia fosse un linguaggio figurato era in parte errata: salvo alcuni disegni che riproducevano le cose, quelle immagini erano segni fonetici, pressappoco come le lettere dell'alfabeto.[17]
Note
[modifica | modifica wikitesto]- ^ U. Eco, La ricerca della lingua perfetta, Bari, Laterza 1993
- ^ Ubaldo Nicola, Atlante illustrato di filosofia, pag. 262, Giunti Editore, 1999.
- ^ Enneadi, V, 8, 5-6, trad. di Giuseppe Faggin.
- ^ Proclus, In Platonis Timaeum commentaria, Libro I, 76, 1-24.
- ^ Cit. in Alessandro Greco, Atlantide Ritrovata, 2010, p. 16, ISBN 1-4461-7545-6..
- ^ Patrick Rivière, Alchimia e spagiria: dalla grande opera alla medicina di Paracelso, pag. 58, trad. it. di Alessandro Dalla Zonca, Roma, Mediterranee, 2000.
- ^ La traduzione latina del 1514 fu illustrata da Albrecht Dürer. La prima traduzione italiana del 1547 era ancora senza illustrazioni.
- ^ Alexander Roob, Alchimia & Mistica, ed. Taschen, 2007
- ^ Patrizia Castelli, I geroglifici e il mito dell'Egitto nel Rinascimento, Edam, 1979
- ^ Fabrizio Sarazani, La Roma di Sisto V, Ed. I Dioscuri, 1979
- ^ Gigi Capriolo, I luoghi magici dell'energia, Ed. Xenia, 1999
- ^ Frances A. Yates, Bruno e la tradizione ermetica
- ^ Roberto Pellerey, La tradizione magica ed ermetica, in Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2014.
- ^ (EN) Percorsi tematici: Athanasius Kircher (PDF), su bibliotecauniversitaria.ge.it, Biblioteca Universitaria di Genova.
- ^ Roberto Chiappi, Problem Solving nelle organizzazioni: idee, metodi e strumenti da Mosè a Mintzberg: Piccola antologia filosofica per managers e project managers, シュプリンガー・ジャパン株式会社, 2005 p.49
- ^ U. Eco, From Marco Polo to Leibniz in Serendipities. Language and Lunacy, New York: Columbia University Press 1998.
- ^ Perciò il disegno dell'uccello ad esempio indica il suono "a", quello della gamba il suono "b" e così via.
Bibliografia
[modifica | modifica wikitesto]- Moreschini, Claudio, Dall'Asclepius al Crater Hermetis. Studi sull'ermetismo latino tardo-antico e rinascimentale, Pisa 1985
- Vinci Verginelli, Bibliotheca Hermetica - Catalogo alquanto ragionato della raccolta Verginelli-Rota di antichi testi ermetici (secoli XV-XVIII), Firenze 1986.
- Rotondi Secchi Tarugi, Luisa (ed.), L'Ermetismo nell'Antichità e nel Rinascimento, Milano 1998
- Bellini, Manuele, L'enigma dei geroglifici e l'estetica. Da Orapollo a Bacone, da Vico a Hegel, Mimesis, Milano 2013, ISBN 9788857516592.
- Marrone Caterina, I geroglifici fantastici di Athanasius Kircher, Nuovi Equilibri, Viterbo, 2002, p. 166, ISBN 88-7226-653-X
- (FR) Jean-Pierre Mahé, Hermès en Haute-Égypte: Le fragment du "Discours parfait" et les "Définitions" hermétiques arméniennes, ISBN 2-7637-6983-7.
- Frances A. Yates, Giordano Bruno e la tradizione ermetica, Bari, Laterza, 1969 (IV ed. 1989), ISBN 88-420-2542-9.
- Giordano Bruno, Il Sigillo dei Sigilli. I diagrammi ermetici, Milano, Mimesis, 1995, ISBN 88-85889-66-2.